Mentre Israele si prepara a celebrare il suo 75° compleanno tra poche settimane, lo Stato Ebraico si trova plausibilmente nel mezzo della crisi interna più grave dai tempi della sua fondazione nel 1948. L’acceso dibattito nazionale sulle riforme giudiziarie attira ogni settimana masse di dimostranti nelle strade dall’inizio di gennaio. Mentre il nuovo governo sperava che le proteste potessero scemare nel corso tempo, è accaduto proprio l’opposto. Le proteste sono aumentate non solo in termini numerici, ma anche in intensità.
Le principali autostrade all’interno e tra Tel Aviv e Gerusalemme sono state bloccate in più occasioni, causando problemi a molti pendolari. Un risvolto più serio della vicenda ha visto centinaia di soldati riservisti israeliani, specie in alcune unità d’élite come i piloti dell’aeronautica militare e gli ufficiali dell’intelligence, che si sono rifiutati, in numero importante, di presentarsi alle loro basi per il loro “miluim” annuale, il servizio di riserva che ogni soldato in Israele deve adempiere fino all’età di quarant’anni. Responsabili di aziende hi-tech con sede qui, nella ben nota “Nazione Start Up”, hanno disinvestito centinaia di milioni di Dollari dai loro conti israeliani spostandoli in banche straniere. Secondo alcuni banchieri, fino a 4 miliardi di Dollari sono stati rimossi dal paese sino ad ora, in parte in segno di protesta, in parte per timore del futuro economico di Israele.
Questa settimana, il malcontento nazionale ha raggiunto una vetta pericolosa presso l’Histadrut, il sindacato nazionale israeliano dei lavoratori, che ha chiesto di avviare paralizzanti scioperi in tutto il paese al fine di fermare le riforme giudiziarie. Ancora di più, l’aeroporto Ben Gurion – il principale aeroporto internazionale di Israele – ha temporaneamente bloccato tutti i voli verso l’estero. Inoltre, gli uffici diplomatici israeliani nel mondo hanno sospeso il proprio lavoro. Vari discorsi su una “guerra civile” si sono sentiti in giro con una frequenza spaventosa. Senza dubbio, questo è uno dei momenti più drammatici della storia moderna di Israele.
Dunque, cosa c’è in ballo al punto che una larga fetta della popolazione di questa nazione è disposta a sacrificare il proprio tempo e le proprie energie per fermare ciò che essi percepiscono come un “colpo di stato”? Le emozioni sono davvero molto forti! Alcuni osservatori di questi disordini, inclusi molti cristiani a favore di Israele, riducono le proteste contro la riforma ad una mera resa dei conti tra la liberale e secolare Tel Aviv e la religiosa Gerusalemme, o tra i progressisti di sinistra e i conservatori. Altri semplificano eccessivamente le problematiche in gioco puntando il dito contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu come vero problema. Certamente, tutte queste questioni sono importanti per il dibattito, ma la crisi attuale ha radici più profonde.
In modo piuttosto interessante, la stragrande maggioranza degli israeliani accoglierebbero in via generica una serie di riforme giudiziarie equilibrate e di buon senso. Il Presidente Isaac Herzog, ex presidente del partito laburista di tendenze di sinistra, supporta le riforme giudiziarie, così come Yair Lapid, presidente di Yesh Atid, il principale partito di opposizione che ha avviato le proteste a gennaio. Persino il precedente governo Bennett-Lapid stava lavorando su riforme giudiziarie molto simili, e le avrebbe attivate se avesse mantenuto la maggioranza alla Knesset [parlamento israeliano – Nota del Traduttore]. Dunque, perché le proteste?
Oltre alle usuali politiche di partito e ai sentimenti anti-Bibi, ci sono due ragioni sostanziali per le quali un numero crescente di israeliani provenienti da ogni percorso di vita, sia secolare sia religioso, stanno protestando e invocando l’attivazione di riforme basate su un consenso più ampio. Anche dall’interno dello stesso partito di Netanyahu, Likud, sempre più voci si stanno facendo sentire per chiedere un compromesso.
Il problema sul piatto riguarda quanto potere la Corte Suprema dovrebbe detenere e in che modo i giudici della Corte dovrebbero essere nominati. Sul punto quasi tutti concordano: i giudici non eletti di Israele possiedono troppo potere sulle leggi, persino quelle basilari, approvate dalla Knesset democraticamente eletta. Essi risultano essere troppo coinvolti in questioni di natura politica e vengono nominati da una maggioranza di colleghi giudici, con possibilità di intervento limitate per la Knesset. Tutto questo dovrebbe cambiare.
Eppure, la maggioranza degli israeliani oggi teme che le riforme giudiziarie proposte attualmente facciano oscillare il pendolo del potere da un estremo all’altro. Il potere passerebbe dalle mani di giudici tendenzialmente liberali a quelle del governo più religioso e di destra che Israele abbia mai avuto. Se le principali riforme giudiziarie passassero, limitando il potere delle corti per revisionare e non approvare leggi non buone, ci sarebbe un secondo livello di proposte di legge in lista d’attesa che aumenterebbero seri timori di costrizione religiosa. Potrebbero subentrare nuove restrizioni religiose su chi potrebbe immigrare in Israele, e forzare l’osservanza dello Shabbat e delle norme della Kashrut [principalmente regole alimentari – NdT]. Le donne potrebbero essere incarcerate per aver mostrato i gomiti nella piazza del Muro Occidentale. La pena di morte potrebbe tornare in vigore per alcuni reati, e i medici israeliani potrebbero essere incoraggiati a dare priorità agli ebrei rispetto ai non ebrei. Tutto ciò, senza menzionare la pericolosa legge anti-evangelizzazione che avrebbe potuto colpire in credenti in Gesù imprigionandoli semplicemente per aver condiviso la propria fede. Grazie a Dio molte di queste leggi sono già state dichiarate come “non in partenza”, ma riflettono le tendenze del governo attuale.
Il grande quesito che si solleva di fronte ad ogni fazione in questa crisi è quale futuro attende lo Stato Ebraico. È vero che la quasi totalità di coloro che protestano si identificherebbero come sionisti. Questo è vero specialmente per i soldati d’élite che rifiutano di fare il servizio. Questi uomini e donne coraggiosi sono disposti a sacrificare le loro vite per la sopravvivenza dello Stato di Israele. Inoltre, la maggioranza dei protestanti vuole che Israele sia uno Stato Ebraico come immaginato da Theodor Herzl [il fondatore del Sionismo politico – NdT]. Una casa in cui gli ebrei di tutto il mondo possono trovare rifugio. Un luogo in cui essere ebreo non è un simbolo di vergogna, ma di onore. Una nazione che celebra le festività ebraiche e in cui, durante Yom Kippur [il Giorno dell’Espiazione – NdT] oltre l’80% degli israeliani digiunano volontariamente, e molti di più non si mettono alla guida delle loro automobili.
Tuttavia, la domanda è: quanto solida sarebbe l’“ebraicità” imposta dallo Stato sui suoi cittadini? O quanta libertà avrebbe ciascun cittadino nell’esprimere la propria ebraicità nella vita quotidiana?
Negli ultimi decenni, Israele è riuscito a mantenere l’equilibrio con una finezza incredibile. Da un lato, ha permesso la massima libertà di espressione per tutti i suoi cittadini, allo stesso tempo ha protetto il diritto della comunità ebraica ultra-ortodossa nell’avere delle classi separate sulla base del genere, ad esempio. Alcune aree in Israele, di Shabbat, sono invalicabili per ogni tipo di traffico, mentre in altre parti del paese si possono trovare centri commerciali pieni e parcheggi intasati da auto durante il sabato. Oggi la maggioranza degli israeliani, persino tra i religiosi, vorrebbe poter continuare ad usufruire di queste libertà in Israele. E qui, i giudici della Corte Suprema sono stati spesso la voce moderata che ha garantito questa diversità sociologica tra gli ultra-ortodossi e gli ultra-secolari.
C’è un’ulteriore sfumatura di questo dibattito che preoccupa molti israeliani, e potrebbe persino essere il problema principale, ed è di natura demografica. La comunità ultra-ortodossa in Israele è cresciuta da poche centinaia di membri – al tempo della fondazione dello stato sotto la guida di David Ben Gurion – a circa il 14% della popolazione di Israele 75 anni dopo. Le previsioni future non sembrano essere diverse. Oggi, il 25% di tutti i bambini israeliani delle scuole elementari frequentano scuole haredi (ultra-ortodosse). Uno slogan popolare durante le proteste anti-riforme è “de-mo-krat-ya” (democrazia), ma dovrebbe piuttosto essere “de-mo-graph-ya” [demografia – NdT], insiste un intelligente rabbino. Il timore è infatti che la comunità haredi continui ad aumentare più rapidamente di chiunque altro, e se le riforme giudiziarie fossero approvate in questo modo, allora il volto di Israele cambierebbe da una democrazia liberale ebraica ad una teocrazia religiosa.
È un dato di fatto che la comunità ultra-ortodossa sostenga solo il 2% delle tasse nazionali, pur usufruendo del 40% dei benefici del welfare sociale. Questo avviene mentre i bambini ultra-ortodossi sono esentati dal fare il servizio militare. Quindi, molti israeliani sono infastiditi dalla mostra, da parte della comunità haredi, della vecchia compattezza sociale che richiede che ogni israeliano versi la propria quota di tasse e invii i propri figli e le proprie figlie al servizio militare. Essi vengono anche turbati dal sentire politici haredi che accusano i piloti dell’IAF [Israeli Air Force – aeronautica militare israeliana – NdT] di essere “non patriottici” per non essersi presentati al servizio. Per essere chiari, moltissimi israeliani rispettano la comunità degli ultra-ortodossi quali guardiani delle tradizioni religiose ebraiche, ma hanno paura che le riforme giudiziarie accrescano il diritto degli ultra-religiosi di privarli delle loro libertà per le quali molti israeliani hanno combattuto e sono morti in tante guerre.
Tenendo quanto detto nella mente, un leader cristiano mi ha recentemente chiesto: “Non sarebbe meraviglioso se tutto Israele fosse forzato a vivere in accordo ai comandamenti di Dio?” Io non credo proprio! La nostra stessa storia cristiana mostra che leader religiosi devoti e benintenzionati non sono sempre dei buoni politici.
Per breve tempo, il risveglio di Ginevra, una volta guidato da Giovanni Calvino, ha dato vita ad un breve ma glorioso periodo in cui Ginevra fu chiamata “la città di Dio”. Eppure, esso si concluse con un governo intransigente guidato da leader religiosi nel quale i figli venivano incoraggiati a spiare e denunciare i peccati dei genitori. Storie simili si ritrovano anche a Firenze (Italia) sotto la guida del riformatore Savonarola. E quando la riforma di Martin Lutero condusse al primo stato protestante in Germania, portò all’uccisione di decine di migliaia di battisti “eretici” secondo la chiesa riformata di Lutero.
Sebbene io sia convinto che questi esempi di storia medievale non si ripeteranno nello Stato Ebraico, essi ci insegnano che leader troppo religiosi spesso dominano sulla coscienza di una nazione. La speranza che le Scritture ebraica e cristiana ci offrono è che la libertà, la rettitudine e la giustizia, alla fine, si realizzeranno soltanto grazie a quell’unico che siederà sul Trono di Davide e governerà il Suo popolo con equità e giustizia.
I profeti di Israele hanno donato al mondo ciò che oggi consideriamo la corretta divisione dei poteri di governo. In Isaia 33:22 il profeta dice: “Poiché il Signore è il nostro giudice, il Signore è il nostro legislatore, il Signore è il nostro re, egli è colui che ci salva”. I primi Riformatori hanno affermato che solo un Dio perfetto può esercitare in maniera appropriata questi tre poteri: creare delle leggi (legislativo), giudicare (giudiziario) e servire in qualità di Re (esecutivo). Noi umani siamo troppo peccatori e corrotti perché un solo uomo detenga tutti e tre i poteri. E questo è il rischio che si corre oggi in Israele.
Quindi, Israele si trova al momento in una giuntura critica e complessa mentre il suo 75° compleanno si avvicina. Ha bisogno delle nostre preghiere ora più che mai, perché questo tempo plasmerà davvero il futuro di Israele.
Pertanto, come possiamo pregare per Israele in questo momento così difficile?
- Preghiamo affinché i leader politici e religiosi di Israele abbiano saggezza e grazia per ripristinare l’unità della nazione. Questo è fondamentale, perché Gesù stesso ha affermato che un regno diviso contro se stesso non può sussistere (Marco 3:24). La tradizione ebraica sostiene che fu la “sinat achim” – l’odio tra fratelli – a condurre all’esilio di Roma. Per favore, preghiamo in accordo al passo di Salmi 133:1, che dice: “Canto dei pellegrinaggi. Di Davide. Ecco quant’è buono e quant’è piacevole che i fratelli vivano insieme!”
- Sono affascinato dal fatto che Abrahamo aveva 75 anni quando, quale padre della fede, entrò nella Terra della Promessa (Genesi 12). Preghiamo che nel 75° compleanno di Israele, esso entri nella sua eredità spirituale come nazione. Preghiamo che da questo caos Israele possa fuoriuscire come luce per le nazioni. Preghiamo che questo tempo gravoso porti ad un momento in cui Israele cerca Dio e Dio risponde riversando il Suo Spirito di grazia e supplicazione su Israele (Zaccaria 12:10 e seguenti).
- Preghiamo per il Primo Ministro Netanyahu, affinché Dio gli doni sapienza per governare questa nazione in rettitudine e giustizia. “Di Salomone. O Dio, da’ i tuoi giudizi al re e la tua giustizia al figlio del re; ed egli giudicherà il tuo popolo con giustizia e i tuoi poveri con equità!” (Salmi 72:1-2). “Il cuore del re, nella mano del Signore, è come un corso d’acqua; egli lo dirige dovunque gli piace” (Proverbi 21:1).
- Preghiamo per la sicurezza di Israele, perché alcuni tra i suoi avversari hanno già percepito la vulnerabilità dello Stato Ebraico nel mezzo di questo tumulto interno. “Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà” (Salmi 121:4).
Dr. Jürgen Bühler – Presidente dell’International Christian Embassy Jerusalem